Il mio povero gerundio ho consumato
come l'utensile reso dal campo
roso dal tempo, rugginosa lama
persa tra zolla e zolla, lavorando.
Il mio povero gerundio ho consumato
come l'utensile reso dal campo
roso dal tempo, rugginosa lama
persa tra zolla e zolla, lavorando.
D'un velo candídissimo adornata
t'ho reso nuda, triste pifferaia,
d'estetica talmente, e cosi nuova,
che sembri tutta bozze di vecchiaia.
Ma se qualcuno bacia le tue piaghe
sorridi pura e snella chiaramente,
immagine nel cuore sigillata.
Ho sempre scritto sotto dettatura
tra poca luce in queste quattro mura:
ho quasi terminato la scrittura.
Un tocco fuori squilla all'aria pura.
S'apre di corsa il folto dei pensieri.
Volano lieti i segni bianchi e neri.
Ho cominciato a scrivere dalla fine.
Per l'impazienza. Per sciogliere l'enigma
Ma presto un'altra riga dopo l'ultima
penultima è venuta ed ho capito.
A ritroso scrivevo come un gambero
che cerca la sua tana e s'allontana.
Riga interrotta rotta non tracciata
fuori dal tempo dallo spazio uscita
pulviscolo impazzito raggio estremo...
corri su e giù con me sull'altalena
tra l'ansia del respiro e la sua pena.
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