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Giovanni Occhipinti

La Casa della Luce

La Casa della Luce, incastonata nella collina di Bellosguardo, viene inaugurata nel1995, quandoil nostro autore iniziaa vivere la propria ufficia- lità di poeta con Mille scuse per esistere. si tratta di una struttura architettonica immersa nella luce e nel verde della campagna toscana e aperta, all’esterno, ai colori, al movimento e alla vita, così da stabilire un flusso di continuità interno-esternoeinterno-internonelrispettodellaspazialitàaccesa,inognisua parte, dalla luce che vi si propaga, tutto animando, negli effetti e nello splen- dorechecelebranoinsiemel’esteticaeil progetto.Ciparedipoterdirecheesi- sta una certa affinità elettiva, se ci è consentito,tra progetto poetico,progetto architettonico,progettofilosofico:nelsensocheinessisicreanocorrentidisug- gestioni concettuali che puntano sulle emozioni e sul consenso nel momento incuivengonopercepitiefruiticomespettacolarizzazioneetripudiodiforme, luci, colori, suoni in un unico possibile oggetto estetico. Una struttura adagiata tra il verde di Bellosguardo (tornano alla mente le parole di Le Corbusier: La preuve première d’existence, c’est d’occuper l’espace) come un veliero sulle onde: potrebbe essere questa l’immagine della Casa della Luce, intellettualmente e artisticamente o, meglio, poetica- mente concepita dall’architetto Lorenzo Papi. spazio e luce qui equivalgono a spiritualità e pensiero, due dimensioni che abitano il tempo; che si incontrano con la poesia e l’arte tout-court e dove, come in un habitat natu- rale, si possono ascoltare, tra luce e luce e nel gaudio degli spazi, Mozart o Beethoven o Chopin, magari con una splendida luna leopardiana che si affacci dalla gobba della collina di Bellosguardo. La poesia di Caramella vive anche delle suggestioni e delle malie di questo suo veliero che sembra navigare nella luminosità degli spazi spinto sull’onda della poesia lungo una rotta che ha tutto il fascino dell’imprevedibile e del mistero, poiché non se ne conoscono le coordinate dell’approdo. o è forse un’Arca nel diluvio esi- stenziale della vita e nelle disaffezioni, nei disamori e negli inganni della sto- ria del micro-macrocosmo? Vi voleranno pure attorno corvi o colombe, a noi interessa sapere che in quest’Arca si salva la fede nella bellezza della Poe- sia (anche in senso foscoliano, si capisce) come espressione somma di arte e come esorcizzazione della Morte. Una enunciazione di poetica estetica che spiega il rapporto di Alberto Caramella con l’arte in ogni sua manifestazione e ne investiga il momento sincretico: espressione di una volumetria che ingloba, imprigiona la corsa, il moto del pensiero poetico e filosofico, dunque esistenziale del poeta. Il quale, dalla sua collina di Bellosguardo (che esteticamente e sentimental- mente fu già del Foscolo) tenta di sublimare la vita nell’Arte. Di nobilitarla filtrandola da ogni terrestrità, per ridare all’uomo – sempre più terragno – la spiritualità che gli appartiene se non altro come manifestazione della ben più significativa ed alta espressione d’arte che è l’afflato divino che tocca, sia pure nel dilemma, ogni creatura della terra. Val la pena allora riportare quanto afferma il filosofo Henri Bergson nel suo Saggio sui dati immediati della coscienza: ‘Nell’architettura, nel cuore stesso di questa sorprendente immobilità, sarà possibile trovare degli effetti simili a quelli del ritmo. La simmetria delle forme, l’indefinita ripe- tizione del medesimo motivo architettonico, fanno sì che la nostra facoltà di percepire oscilli dallo stesso allo stesso, disabituandosi a quegli incessanti cambiamenti che, nella vita quotidiana, ci riportano continuamente alla coscienza della nostra personalità’. Nel contesto letterario e artistico che fa capo ad Alberto Caramella c’è ancora da considerare il Fiore di cristallo, un progetto-sogno di Lorenzo Papi, dedicato alla città di Firenze (cfr. La nuova città di Scandicci si specchia con Firenze, libro edito nel 2000 e curato da Alberto Caramella). L’idea di una struttura cinetica (una creatura!) col desiderio della vita: questo ci sembra il Fiore di cristallo; ed ancora, un teatro nel quale rap- presentare la scena del mondo attraverso l’utopia di un’oasi – un microco- smo ideale – o un’Arca di bellezza in cui estetica ed esistenza, incontran- dosi, alimentino la speranza che non tutto è perduto per l’uomo del terzo millennio. se si dovesse tentarne una definizione, direi che esso è una cellula nuova creata per contrastare, nel vecchio tessuto della città di Firenze, le forme della bellezza antica – la bellezza classica –. o forse per contem- plarne l’immortalità, col desiderio di divenire a sua volta immortale. o forse, esso, è un modulo avveniristico per un tentativo di evasione dal mondo? o il camuffamento dell’uomo tecnologico, la cui umanità è ancora garantita, nel suo nucleo – nella sua parte elicoidale – dal vecchio DNA? è la parte umana che resiste ostinatamente alla grandiosità della tecnologia? o convive con essa? o si assiste alla sorte di un DNA prigioniero della vor- ticosità delle linee, delle illusioni degli spazi, della loro libertà geometrica? Insistendo con l’occhio nella perlustrazione del Fiore di cristallo sembra di intravedervi, nelle sapienti sfumature, nei tagli o interruzioni degli spazi, un gioco astuto di luci e di trasparenze, di vuoti e di pieni, forse a dispetto o contro l’opacità e la prigione del tempo: qualcosa che lentamente viene a definirsi al nostro sguardo stupito come un orizzonte autre, una promessa che non è soltanto estetica, ma spirituale nella sua annunciata metafisicità. E d’altronde, la vera bellezza è metafisica, potendo, essa, conciliare materia e spirito, sino a «incarnarsi» nella forma: un atomo di spazio che ha nostal- gia di una terra finalmente rigenerata. È qui che si vorrebbe Il chiaro di luna di Chopin, per usare una bella immagine – visiva e musicale, cioè uditiva e quindi sinestetica – di Lorenzo Papi ma anche la declamazione, in sottofondo, di Il grande progetto, i versi che Alberto dedica all’amico architetto: “Il fiore di cristallo si è svegliato. // La perfezione pura / s’innalza in contrappeso dalla terra / si avvita su se stessa segue il sole / e gira tutt’intorno alla sua scena / che sale che scende / nel teatro leggero della sera”. Pochi versi per definire il sogno lirico di un poeta – accattivante e talora inquietante come la sua stessa estetica –, che non disdegna il lirismo metafisico pur se teme, umanamente, il sogno teologico; o che il piacere e l’ebbrezza del poeta, questo sogno possano intaccare.