Poesia e architettura
Nell’immaginario collettivo Firenze è presente soprattutto per lo
splendore dei monumenti medievali e rinascimentali incastonati tra i colli,
in un insieme omogeneo e luminoso che la rende unica al mondo. La
prima immagine che di Firenze viene in mente non è, di solito, la fervida
vita culturale, per esempio, delle riviste fiorentine del Novecento. o la pre-
senza animatrice di Papini; l’estro geniale di Palazzeschi; la pittura di
Rosai; la qualità di narratori come Bonsanti, Bilenchi, Pratolini, Lisi; il
notevole rilievo anche storico del cosiddetto «ermetismo fiorentino», nel
quale fece le sue prime prove Mario Luzi, di cui in questi giorni si celebra
il centenario: grande poeta e anche grande testimone del proprio tempo
(quale appare dalle innumerevoli e intense interviste raccolte in diversi
volumi). A volte si pensa a una città troppo ammaliata da un glorioso pas-
sato, con la gravosa e tuttavia magnifica responsabilità di custodirlo intatto
per l’umanità presente e futura. Ma la Firenze moderna, per fare un esem-
pio tra i tanti possibili, ha accolto e valorizzato un architetto come Gio-
vanni Micheluzzi, coautore, con i suoi allievi, della stazione Centrale di
santa Maria Novella. Ha inserito felicemente (anche per merito di Lorenzo
Papi di cui si riparlerà) in uno spazio quattrocentesco, legato nientemeno
che a Leon Battista Alberti, l’arte di un grande scultore toscano profonda-
mente moderno come Marino Marini. In questa direzione, il cammino da
percorrere è comunque ancora lungo.
Immaginiamo un viandante che s’inoltri su per le armoniose colline
di Bellosguardo, rese mitiche dalla poesia foscoliana, percorrendo l’affa-
scinante Via di san Vito, stretta fra antichi muriccioli e cara a voli di luc-
ciole nelle sere estive. se trovasse il modo di penetrare per poche diecine
di metri oltre il cancello del civico numero 7, potrebbe avere l’impressione che un’astronave tutta proiettata verso il nuovo millennio e verso il
cosmo sia atterrata e si sia attestata tra quegli ulivi e cipressi che più
toscani e più eterni e sacri di così non potrebbero essere. Lo informe-
rebbero poi che la supposta astronave altro non è che la Casa della luce e
della poesia: uno spazio materiale e spirituale tutto particolare donato a
Firenze e offerto al presente e all’avvenire, uno spazio diverso rispetto a
tutto ciò che una città, pur così satura di cultura e così ricca di spazi
magici, sinora possedeva.
La casa della luce prende vita dalla metamorfosi di una vecchia
dimora campestre che pareti trasparenti hanno resa aperta verso la campa-
gna circostante e quasi partecipe della sua vita: per esempio, il pubblico
delle manifestazioni serali che hanno luogo nel salone in grado di accogliere
più di cento persone può assistere, attraverso le amplissime vetrate, al
quotidiano rito del crepuscolo che si svolge tra gli alberi. Il gusto dell’ar-
chitettura è senza dubbio moderno, ma alcuni esemplari phares (per dirla
con Baudelaire) della somma arte toscana del passato aleggiano come
numina praesentia nella casa della luce: Piero della Francesca, Leon Battista
Alberti, Filippo Brunelleschi, perenni modelli di ferma misura, non meno
delle colline di Bellosguardo e di Monte oliveto. L’opera nasce da un
grande sogno: il sogno congiunto di un poeta «architetto onorario» e di un
architetto «poeta onorario», che per anni hanno lavorato fianco a fianco. Il
poeta è Alberto Caramella, già principe del foro civile fiorentino, apparso
in grande all’età di settant’anni nel panorama poetico e letterario con
molte migliaia di versi e con testi in prosa, riscotendo notevoli riconosci-
menti e successi. Ha forse un senso che l’opera poetica sia stata pubblicata
a ridosso del passaggio al nuovo millennio. È un fluire continuo “Dal pri-
missimo verso all’ultimo venturo / nitida scorre l’unica poesia” in cui si
riflette “mezzo secolo che vede il passaggio dalle radici culturali di una
civiltà ancora contadina, fondata sul sacrificio e sul lavoro, al tempo del
consumo e della comunicazione: fino all’incerto meraviglioso Duemila
postindustriale quando forse (sogna l’autore) sopravvivrà solo la poesia”.
Caramella continua a scrivere in verso e in prosa con inarrestabile vena,
assetato di totalità, quasi volesse abbracciare nella parola ogni aspetto pos-
sibile dell’esistenza. Il tempo del grande sogno realizzato di architettura-poesia, coincide,
all’incirca, con la tarda decisione di raccogliere le poesie scritte lungo
un’intera vita, non soltanto pubblicandole, ma rielaborandole e ripensan-
dole instancabilmente, non senza analogie con quanto è avvenuto nella tra-
vagliata esecuzione dell’opera architettonica, tra continui ripensamenti e
illuminazioni. Tra opera architettonica e libro esiste del resto qualche
significativa affinità: anche il libro è struttura armonica, condensazione e
fissazione di idee in uno spazio ben delimitato con i suoi pieni e i suoi
vuoti, è aspirazione a durata che intende sfidare la labilità temporale:
«Non vinto mai, se non dai libri, il tempo».
Uno splendido volume, pubblicato con partecipe amore dallo squisito
editore-umanista Vanni scheiwiller (quando era ormai alla fine del suo
cammino terreno), è intitolato La casa della luce. Esso documenta e con-
sacra, nelle varie fasi, la dialogante e corale genesi dell’opera e soprattutto
(spiega l’autore) ‘il senso interiore di quanto è avvenuto nel corso dell’o-
pera’, riconsiderando anche, con riflessioni di autorevoli studiosi, il rap-
porto tra architettura e poesia. Nel 2000, per i tipi di Polistampa, Cara-
mella e Papi pubblicano insieme un altro libro, La nuova città di Scandicci
si specchia con Firenze. Una proposta tra poesia e architettura. secondo
Antony oldcorn, che lo tradusse in inglese, questo libro è ‘una commossa
rievocazione di un decennale sodalizio, di un’amicizia creatrice tra due
uomini d’eccezione: un avvocato di grido finito per una volta non tra i ran-
ghi dei politici ma tra quelli dei poeti, e uno dei più grandi architetti
fiorentini’. Questo libro, seguita oldcorn, è anche ‘una concreta e fattiva
proposta urbanistica nata dal comune amore per Firenze e per il suo cir-
condario’.
Per renderci edotti di come la pensava Caramella sul rapporto archi-
tettura-poesia, potremmo riportare qualche passo dell’intervista da lui rila-
sciata a sandro Gros-Pietro in un fascicolo della rivista torinese Vernice.
Basterebbe questo micro-dialogo interiore: “si può architettare la poesia? Per
me è ovvio: si deve. si può poetare l’architettura? se non lo si fa non è archi-
tettura. È squallore”. Ma forse conviene non perdere l’opportunità di assa-
porare anche una robusta riflessione teorica del poeta: “La poesia scaturisce
dall’incontro del poeta con la realtà, che per me è illimitata, nel senso che l’occasione della poesia può venire da qualsiasi incontro: sia un incontro con
l’esigenza di conoscere, sia un incontro con l’esigenza di esprimere una
valutazione etica, sia un incontro o una vibrazione di pura bellezza, che s’ap-
palesa nell’esperienza fenomenica o in quella dei sentimenti umani ovvero
nelle fascinazioni della natura che ci circonda. […] Le parole sono pietre
costruite ed intrinsecamente articolate; possono e debbono a loro volta
disporsi seguendo il ritmo e la musica interna del verso e, più in generale,
dell’intera composizione. Non necessariamente si tratterà di un codice
regolamentato, ovvero della metrica tradizionalmente intesa, ma sicura-
mente si dovrà verificare la proporzione armonica che misura internamente
il verso, il dettato del periodo e l’ideazione complessiva dell’opera”.
L’architetto poeta che ha portato a compimento l’opera per esprimere
in essa «un’esplosione fantastica e spaziale verso la natura dell’uomo e del-
l’esistenza», il costruttore dall’inesauribile fervore e dal lirico estro, pur-
troppo scomparso nel pieno dell’età e dell’attività, è il già ricordato Lorenzo
Papi, geniale e colto artista, noto per importanti realizzazioni, tra cui l’e-
semplare sistemazione del fiorentino Museo Marino Marini, di cui s’è par-
lato all’inizio. Poeta davvero, il generoso e amabile Lorenzo Papi, non sol-
tanto per quel suo aggiungere continuamente versi di speranza e di luce
accanto ai suoi schizzi e progetti e sogni di architetto, ma, in tutta la pie-
nezza dell’ellenico poiein, per la sua calda, incontenibile creatività.
Poeticità e, se così è lecito dire, «poieticità», caratterizzano del resto
questo sogno realizzato in due. E questo costruire di Caramella non è un
far costruire, come il Pontefice Paolo III, ‘tra il latin del messale e quel del
Bembo’, fece della Rocca Paolina secondo il celebre canto carducciano.
Assomiglia semmai all’impegno di Carl Gustav Jung nel costruirsi una torre
sul Lago di Zurigo, spaccando pietra dopo pietra, cementando a volte
egli stesso, perché l’opera fosse sua, veramente vissuta. Il costruire di Cara-
mella, il suo poiein architettonico e poetico, è stato un metter pietra su pie-
tra giorno dopo giorno, discutendo ogni particolare, anche a volte non
senza combattiva dialettica, con l’amico architetto, e certo discutendo i par-
ticolari anche con i tecnici e gli artigiani, chiamati tutti ad esprimersi per
iscritto nel ricordato libro La casa della luce, che documenta e trasmette una
sorta di epica poetica del costruire davvero unica. Ecco dunque realizzato “un programma poetico in cerca di sé e del
suo proprio sogno”, come Caramella lo definisce. Ma il sogno del poeta che
si fa mecenate non si conclude, in ogni modo, con la costruzione della casa.
L’edificio offre spazi, capaci di accogliere numeroso pubblico, offre anima
alla Fondazione il Fiore che cerca di portare la poesia di Firenze nel mondo
e la poesia del mondo a Firenze. Poesia del mondo è tutt’altro che una frase
vuota e retorica. La fondazione ha potuto accogliere e far incontrare al pub-
blico fiorentino alcuni dei maggiori poeti viventi: non soltanto Mario
Luzi, che risiedeva in loco, e diversi poeti italiani, ma anche il premio
Nobel Derek Walcott, l’«omero dei Caraibi», che eseguì durante il suo sog-
giorno a Bellosguardo un disegno da lui donato alla Fondazione. E il mag-
gior poeta in lingua araba, Adonìs (pseudonimo del siriano-libanese ’Alì
Ahmad sa’id) dalla traboccante vena, forse futuro Nobel, oltre ad alcuni tra
i più noti poeti nordamericani, come Mark strand, premio Pulitzer, russi,
francesi, scandinavi, svizzeri, belgi, cinesi.
spero che molti amici della poesia e della cultura, possano, anche
negli anni futuri, continuare a salire con gioia sulle alture di Bellosguardo
per raggiungere la ospitale casa della luce dove ha sede la Fondazione il
Fiore.