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Vera Franci Riggio

Il gioco
Vorrei richiamare alla vostra attenzione alcuni esempi della scrittura caramelliana dove, in maniera esplicita oppure abilmente nascosto o mascherato, il tema del gioco si evidenzia come autentica colonna sonora che accompagna l’orchestrazione di tutte le opere del nostro autore. Ricordiamo, in primis, l’episodio dell’autopresentazione, che Alberto Caramella intitolò “Congedo inesistente (in punta di piedi solamente)” contenuto in Cartella di vacanza e che così diceva: “Forse la presenta- zione vera ma quella proprio vera è scritta già. Come un gioco senza età. Chissà se vi è piaciuto. Le nuvole perplesse fanno cenno, vengono e vanno. Ma decrittando scruto dall’infanzia, dalla patria del gioco, l’ammonimento che: «Il (bel) gioco dura poco». È presto fatto. Finisce qua.” Il gioco viene da lui considerato come “interramento di sé” e ne è un convinto e stravagante esempio, sia pure scherzoso, l’epigrafe di sua inven- zione immaginata per la propria pietra tombale dove, nella metafora evi- dente, la sepoltura allude a quella voluta sottrazione di sé agli altri, per esternare il meglio di sé. Alberto Caramella Domenico Barberis Marchese Clavesana (A C D B M C) annuncia in proprio il proprio interramento lieto, se lascia libero un posto o forse due È l’interramento-nascondimento gioioso, proprio dell’attività ludica (ma anche della scrittura) dove, nell’apparente scomparsa di sé, germoglia il seme della vita. se ilgranononmuorenonportafruttoricordanoinfattile parole evan- geliche. E questo, nel giocoparadossalmente divertitoe tantocaro ad Alberto Caramella, non può che essere un avvenimento lieto, in definitiva, poiché in tal modo viene lasciato libero “[…] ciò che così a lungo (e tanto brevemente) è stato – arbitrariamente – imprigionato Un «posto»” (Pulizia, p. 129). Il gioco diviene così, nell’ottica caramelliana, la forza motrice del- l’intera esistenza, tanto che coerentemente egli asserisce: (Cartella di vacanza, p. 104) “È morta la voglia di giocare? / Allora forse morirò anch’io”; ma finché tale desiderio sopravvive, la stessa attesa della morte, seppure coscientemente vissuta, non fa altro che alimentare il piacere del gioco-vita, insieme all’auspicio che tale piacere possa durare il più a lungo possibile: “Ciò che nessuno dice a chi s’appresta / è come e quando tocchi di partire. / E qui la storia torna mozzafiato / ti tiene in corda in ansia, ed è un peccato / che non duri di più, affascinato, / il gioco tutti i giorni rigio- cato.” (Mille scuse per esistere, p. 216). La vita, sembra dirci (anzi lo dice chiaramente) Alberto Caramella è tutta, in definitiva, nel coraggio di “mettersi in gioco”: è una lezione che ci viene da lontano, dalla nostra infanzia trascorsa, ma non perduta, dal ricordo dei nostri lunghi giochi quando nella solitudine, imparavamo inti- moriti il “mestiere di vivere” (come dice Pavese): esaltante e pericoloso. “Come quando passavo le ore da solo / sui tappeti cinesi / con quat- tro palline / e due gusci di noce: / giocando da solo / pauroso; / e disteso da solo pauroso / giocavo per ore.” (Interrogazione di poesia, p. 17). E perciò anche la scrittura di Alberto Caramella è Gioco (con la g maiuscola!): è lo spazio-tempo della pagina bianca, intesa come realtà metaforica, ma anche metafisica, su cui collocare quei misteriosi segni che attestano il nostro essere o meglio esserci di heideggeriana memoria, nel suo inarrestabile sforzo di inventare le Mille scuse per esistere, vale a dire le mille parti che (in un vero gioco interpretativo) la vita ci costringe a soste- nere, come su un palcoscenico, per dimostrare che esistiamo e siamo bravi a ricoprire il nostro ruolo ed a cambiarlo. sono trabeazioni lirico-ludiche quelle che sostengono, ad esempio, il drammatico Gioco delle parti di L. Pirandello e, ugualmente, la trasfigurazione fantastica del reale di Calvino e il mondo assurdo e fittizio di Borges, dove scompare ogni distinzione tra vero e illusorio e la surreale partita a scacchi nel film Il settimo sigillo del regista svedese Ingmar Bergman. si tratta soltanto di alcuni esempi, ma si potrebbe continuare, in un gioco di ricerca, appunto, seducente e meraviglioso come un’avventura. Il gioco dello scrivere è così metafora del gioco della vita e ne ripro- duce fedelmente la dinamica in quegli esercizi di sopravvivenza ai quali, nostro malgrado, siamo costretti a soggiacere. Le jeu héroïque le jeu tragique le jeu historique le jeu dangereux le jeu affreux le jeu unique le jeu pénible le jeu grotesque le jeu de vivre c’est de survivre. (Lunares murales, p. 232) Il gioco come ben si vede ritorna nella divertita, ambigua corrispon- denza fonica di quel “je” (io) che richiama il “jeu” (gioco) reiterato ad ogni capoverso. Io e il gioco, vale a dire: io nel gioco, per sottolineare una realtà che appartiene ad ognuno di noi. E gl’innamorati: “sono bambini che giocano al sole / e fanno dei castelli sulla sabbia.” (Mille scuse per esistere, p. 60). Anche gli eventi naturali sembrano ubbidire ad una segreta, fatale legge ludica. “Al gioco dei quattro cantoni / giocano quattro stagioni” (Il libro liberato, p. 288). Il gioco è anche nella forma linguistica: colta, esuberante, volutamente e scherzosamente labirintica nell’oscurità di un messaggio che si fa criptico, tutto da decifrare. Ne scaturisce un percorso espressivo lastricato di pro- gressioni, inversioni, ritorni e false piste, come un divertissement leggero che continuamente si rinnova, muta le regole e le confonde.