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Giuseppina Amodei

il colore della luce in mille scuse per esistere
La lettura del rapporto tra la scelta del colore e la personalità di un poeta non può essere operata con l’atteggiamento assolutista di chi crede di aver compreso gli aspetti più profondi dell’animo, ma con la consa- pevolezza che non sarà mai possibile entrare nella parte più intima e com- plessa di chi scrive: se da un lato indagare sull’uso che un poeta fa del colore affascina il lettore, dall’altro lo pone di fronte a una complessità di inter- pretazioni che diventa consapevolezza del non poter asserire con certezza quanto indagato. Di conseguenza, questo micro-studio, ben lontano dall’essere basato su caratteri assertori, tende semplicemente a mettere in luce – in maniera intuitiva, più che critica – alcuni aspetti di interazione tra cromia e perso- nalità nell’opera Mille scuse per esistere del Poeta Alberto Caramella. Molto più semplice analizzare la struttura, la forma, la semantica, la musicalità del verso che non l’aspetto del «colore» in una poesia; le difficoltà di interpretazione sono dovute soprattutto al fatto che non esistono parametri di riferimento, né studi scientifici capaci di dare indicazioni sicure su quanto si va proponendo. È pur vero che fin dall’antichità è stata messa in evi- denza la correlazione tra i colori e la vita psichica: basti pensare ad Ippocrate che identifica attraverso i colori i quattro humores che alimentano l’organismo umano; oppure, in tempi più recenti, agli studi junghiani che ipotizzano una corrispondenza fra i tipi psicologici e i colori suggerendo un’affinità del «tipo pensiero» con il colore blu, del «tipo sentimento» con il rosso, del «tipo sensazione» con il verde, e del «tipo intuizione» con il giallo. Nell’opera Psicologia e poesia 2 Jung afferma che le composizioni poe- tiche possono essere di due tipi: psicologiche e visionarie. Le prime svisce- rano emozioni e passioni per cui l’autore utilizza un materiale creativo con- tenuto nella coscienza che ha la possibilità di chiarire e trasfigurare l’oggetto poetico; il secondo deve invece essere interpretato, in quanto il messaggio non è sempre decifrabile, appare ambiguo e sembra risalire ad epoche umane o addirittura pre-umane. In epoca moderna, interessanti sono gli studi dello psicoterapeuta e filosofo svizzero Max Lüscher 3 il quale nel 1923 – attratto dagli studi di Hermann Rorschach – teorizza gli effetti e l’influenza delle tonalità sulla nostra psiche. Lo psicoterapeuta elabora un Test dei colori, portando avanti per cinque anni varie sperimentazioni per trovare le precise tonalità adatte a testare con esattezza le strutture psicofisiologiche da lui individuate. sappiamo però che i test – anche i più accreditati – sono soggetti ad un margine di errore e che le interpretazioni sono strettamente connesse all’abilità dell’esperto che li propone. Gli stessi test utilizzati in campo psichiatrico – si vedano ad esempio le famosissime macchie di Hermann Rorschach 4 – necessitano di uno studio profondo e di una metodologia scientifica che presuppone una serie di accorgimenti che vanno dall’am- biente in cui si opera fino ai segnali verbali e nonverbali del paziente; di conseguenza la valutazione dei risultati di un test sono condizionate da ele- menti esterni e dipendono in larga misura dall’esperienza e dalla capacità dello psicologo o dello psichiatra. Potremmo continuare nel nostro elenco di studi, tesi, asserzioni sul- l’argomento senza però giungere ad una soluzione che abbia valenza scien- tifica: non dimentichiamo, inoltre, che le teorie fondamentali sul rap- porto tra colore e personalità sono state letteralmente «setacciate» da correnti di pensiero diverse, anche New Age, come la cromoterapia, i fiori di Bach e quant’altro; di conseguenza pur essendoci delle convergenze tra le varie interpretazioni, non si può essere esenti dal rischio di dispersione e false interpretazioni. È indubbio che i colori sono «oggetti» che parlano di noi ed hanno la capacità di mostrare l’espressione di sentimenti ed emozioni. Ma, cos’è il colore? se lo chiediamo a un fisico, ci dirà che è la percezione di luce che un oggetto riflette sui nostri occhi. Un pittore definirà il colore come una sostanza utilizzata per dipin- gere composta da molteplici materiali naturali o chimici che possono dar luogo a infinite tonalità. Un musicista dirà che il colore è dato da quella particolare caratteri- stica – vocale, strumentale – che è il timbro. Non a caso la parola «timbro» è definita sia in inglese che in tedesco come «il tono del colore» (ton cou- lor, klangfarbe). In tutti e tre i casi presi in considerazione, il colore è strettamente col- legato ad un fatto sensoriale, materiale, corporeo; che poi il colore abbia influito su una composizione pittorica o musicale, è un’altra storia; basti pensare a Kandisky che aveva una vera e propria ossessione per i colori avvertiti come ‘un coro da fissare sulla tela’; oppure a tutti gli studi su come le stesse note abbiano un colore diverso; oppure sull’influenza che un determinato colore ha sulla composizione di un brano musicale o sulla sua interpretazione. Ma, se per la musica e la pittura il colore è un elemento estrinseco, che influisce cioè su una composizione artistica in maniera fattiva – nella poesia il colore è qualcosa di intrinseco, un elemento che nasce e si mani- festa – spesso si nasconde – dentro, dietro e anche al di là della parola stessa. Da un lato è legato alla sensazione visiva, dall’altro alle sensazioni intime che indicano una cromia anche senza nominare il colore stesso; in altri termini, un verso, una strofa, una similitudine possono ricondurci ad una sorta di «colore dell’anima» che esprime uno stato emotivo di gioia, di dolore, di malinconia, di calma, di aggressività. Non ci possiamo di conseguenza basare esclusivamente sulla sensa- zione legata alla vista (il poeta descrive e denomina i colori che vede, usando analogie, metafore e figure retoriche), ma sulla percezione di quanto gli oggetti della poesia influiscono sul modo di sentire il mondo che ci circonda: da qui il potere che le immagini colorate – espresse in maniera esplicita o occulta – hanno sulla psiche; quella particolare parola, quella particolare sfumatura, quella metafora, metonimia, similitudine, non sono altro che l’espressione verbale scritta di una emozione, di un sentimento, di uno stato d’animo. I colori non possono dunque essere risolti con una teoria solo mec- canicistica ma devono trovare spiegazione anche nella poetica, nell’estetica, nella psicologia e nel simbolismo. Già G.W. Goehte 5 , nella sua opera Della Teoria dei colori del 1810, pubblicato a Tubinga, afferma che le cro- mie agiscono sull’anima suscitando sensazioni, risvegliando emozioni e pensieri che ci distendono o ci agitano, che provocano gioia o tristezza. Fermo restando che i significati cromatici non hanno un valore oggettivo ed assoluto, è possibile individuare due correnti di pensiero tra loro contrapposte. Claudio Widmann 6 , nel suo interessante saggio Il simbolismo dei colori, afferma che per la corrente definita «culturalista», i colori non hanno un senso, per cui il loro significato ha valore relativo e dipende da variabili contingenti come semplici convenzioni, luoghi comuni e super- stizioni locali; si dice ad esempio che il colore giallo significa gelosia, il verde indica speranza, il viola simboleggia il lutto, e così via. secondo tale inter- pretazione, i colori possono anche essere legati a codici culturali come ad esempio all’estetica della moda che detta un certo tipo di accostamento di colore, per cui si pensa che un abito giallo può essere armoniosamente abbi- nato al blu ma non al nero, il bianco a tutti i colori, il nero e il grigio al rosso ma non al marrone; sappiamo comunque che nell’ambito della moda – soprattutto in occidente negli ultimi anni – la creatività degli stilisti ha sorpassato i limiti e le convenzioni legate all’abbinamento di colori che un tempo erano definiti stridenti. Widmann contrappone alla corrente culturalista la corrente di pensiero «simbolica» secondo la quale i colori acquistano le caratteristiche proprie del simbolo e di conseguenza appartengono al livello inconscio e non a quello conscio; l’esperienza del colore non è solo fisico-percettiva, ma è una com- plessa esperienza psichica: i colori rispecchiano dunque le vicende evolutive dell’uomo, e possiedono una valenza universale e collettiva. L’Autore mette in evidenza come il colore appartenga non tanto all’oggetto quanto all’esperienza personale. Il colore è molto più di una per- cezione fisica poiché condensa e sintetizza la dimensione immaginativa ed emozionale di una esperienza. Non è intenzione elaborare una tesi intorno alla personalità di Alberto Caramella né tantomeno improvvisarsi psicoanalista di un Autore la cui sto- ria personale è oramai nota a tutti: l’interpretazione prenderà in considera- zione soprattutto la teoria che si basa sul concetto che gli effetti del colore sono anche psichici ed emotivi: non si può scientificamente negare che l’e- sperienza del colore sia fisico-percettiva, ma è indubbio che i colori parlano del mondo di ognuno di noi e sono simboli delle trasformazioni umane; di conseguenza la biografia, i luoghi, il contesto storico in cui il poeta vive, sono elementi assolutamente necessari a tentare una interpretazione – anche se parziale – del rapporto tra cromia e composizione poetica. ogni poeta possiede un suo modo di percepire la realtà e di inter- pretarla e sarebbe perlomeno scorretto – se non errato – ritenere che tutti i poeti che prediligono il rosso sono aggressivi e passionali, quelli che evo- cano in maniera ossessiva il bianco sono folli o potenziali suicidi; la pre- valenza e la preferenza di un colore possono darci indicazioni sulla perso- nalità ma non diventare dogmi psicologici. Analizzando l’opera Mille scuse per esistere, si può notare come il Poeta ricorra raramente alla parola/colore nel senso di esplicita definizione. A parte qualche descrizione di carattere sensoriale come ad esempio “il verde dei tigli”, la poesia intitolata Celeste, “il rosa… il tramonto viola” (in Abruzzi), tutta l’opera è attraversata da quello che viene comunemente definito colore/non colore – oppure colore neutro – che ricorre in maniera costante, oseremmo dire prepotente: la luce. “Luce sui sedili… luce come poesia… luce sul mare… luce deviata… si arrampica… risale al tramonto… barbagliante nelle tenebre… luce falsa… luce che ferisce… La stanza del tempo è piena di luce… Le luci calano liete… C’è un battello nella luce… s’acquieta ad est la luce nella notte… La luce diffrange nel vaso… Tavolo rotondo illuminato da luce innaturale… Luce chiara della fanciullezza.” Le stesse foglie gialle (in Matrimonio di Guido), sono ferite dalla luce cristallina. Luce dunque che si rivela in moltissime composizioni, descritta, ana- lizzata, ricorrente in tutte le circostanze, le forme. Unica – o quasi – pro- tagonista nella cromia della poesia di Caramella. Anche la trasparenza e il bianco, la clarità, il candore, la limpidezza e lo specchio, immagini ricorrenti nelle poesie, non sono altro che elementi collegati alla luce. La luce che traspare nel vetro o nello specchio, il colore bianco che può apparire denso o lattiginoso: “Idea bianca che più bianca non c’è” in Lampo al magnesio, “Le scale terse…”, “La candidissima e limpida luce…”, “La bianca tavola…”, “Bianca tortora…”, “Il marmo bianco che fiorisce come un Dio” (in Canova). La poesia di Caramella appare monocromatica, con una ricorrenza preponderante della luce che riporta al colore bianco. Cosa si nasconde dietro l’uso costante di un colore? Potremmo ricordare come alcuni poeti che hanno deciso liberamente di porre fine alla propria esistenza, abbiano esplicato il loro male del vivere attraverso l’uso ossessivo di uno o due colori: pensiamo al ‘Perfetto lino ebraico,…’, ‘i vermi come perle appiccicose,…’ ‘la nera scarpa e il cuore grasso come un paletto’ di silvia Plath; ai ‘Baratri azzurri’, al ‘Turchino nero’, al ‘Ghiaccio che inazzurra i sentieri’, di Antonia Pozzi dove il blu, ricorrente in tutte le sue sfumature, è ben lontano dal rappresentare il colore dell’adattamento, della sobrietà e dell’allegria, in quanto è annullato – diremmo ucciso – dall’aggettivo che si pone a contrasto diventando la manifestazione cromatica del dolore e della sofferenza. Per non parlare di Cesare Pavese ossessionato dal colore rosso ma sempre alla ricerca della luce; o di Esenin, che arrivò a scrivere la sua poesia di addio col suo stesso sangue. La predilezione per un colore può però simbolicamente avere molte- plici significati. Pensiamo ad esempio alla poetessa Emily Dickinson: fu for- temente attratta dalla morte ma fu ben lontana dal suicidio anche se ricorse spesso al colore bianco, sia nell’abbigliamento che nelle sue poesie. Potremmo ipotizzare che per lei il bianco indica la sua aspirazione alla purezza, così come si deduce dalla sua vita? oppure il suo negarsi alla vita sociale rappresenta una sorta di «suicidio intellettuale»? Non ci è dato sapere, ma solo ipotizzare. E cosa dire del trionfo di colori in Mario Luzi; in Attilio Bertolucci il cui senso della meraviglia è presente in ogni angolo della natura; in Peter Russell che descrive ogni spicchio del Valdarno ricco di infinite sfumature cromatiche; in Alfonso Gatto che prende ‘Tutti colori e pennelli per tingere a nuovo case e ruscelli’; in Alda Merini che afferma di soffermarsi ‘all’ec- cesso beato dei colori’, di amarli, di essere sospinta dalla luce ‘ma il colore mi attenua, predicando l’impotenza’. Potremmo affermare senza alcun dubbio che i poeti che utilizzano una vasta gamma di colori hanno trascorso la propria esistenza indenni dalla sofferenza, dal dolore, rivolti solo alla gioia e alla spensieratezza? oppure, non è proprio la ricerca e l’uso variegato dei colori una sorta di schermo, di cura che lenisce le ferite della propria anima? Non ci è dato sapere, ma solo intuire. Potremmo continuare con esempi all’infinito, scomodando i poeti maledetti e i poeti russi, i poeti antichi e quelli contemporanei, senza riu- scire però a trovare una risposta certa al dilemma: esiste una correlazione stretta tra la scelta costante dei colori passionali e cupi e la tendenza a per- sonalità distorte? Tra i colori solari e la gioia e la serenità? Tra i colori freddi e una personalità scostante e solitaria? Non ci è dato sapere. Anche se appare possibile che molti poeti che hanno liberamente scelto l’estrema fuga oppure hanno evitato la morte attraverso la follia evocano analoghe atmosfere dove i colori sono indicatori di sofferenza e incapacità di tollerare il male del vivere, non possiamo non tener conto del fatto che ogni persona possiede un suo modo di percepire la realtà e di interpretarla: i colori nella poesia non hanno significati oggettivi e assoluti anche se indubbiamente sono degli indicatori importanti degli stati d’a- nimo del Poeta, del suo modo di ricercare – attraverso le parole – il senso della sua creazione: a volte in maniera esplicita – dunque comunicativa – molto spesso in maniera non visibile, nascosta. Non dobbiamo inoltre dimenticare che, nel corso dell’esistenza di un poeta – così come di ogni uomo – subentrano eventi che hanno la facoltà di modificare, arricchire, cambiare il proprio percorso e la propria visione della vita: di conseguenza anche la percezione e l’uso dei colori può variare a seconda delle emozioni provate in quel determinato momento. Un esem- pio nella poesia di Montale: nella sua prima opera Ossi di seppia (pubblicata nel 1925), spicca la presenza dell’azzurro, un elemento ricco di significati e di sfumature che assume prevalentemente una valenza positiva. Nelle Occasioni (pubblicata nel 1939), i toni tendono a incupirsi e l’azzurro, pur mantenendo la sua finalità positiva, perde la sua valenza descrittiva e viene utilizzato nel riportare evocazioni improvvise. Ma ne La bufera (pubblicata nel 1956) l’Autore subisce l’influenza degli orrori della seconda guerra mondiale che si è conclusa da meno di un decennio e il registro cromatico varia sensibilmente: le tinte coloristiche sono infatti il nero, il bianco e il rosso, spiegate con il senso di morte e di dolore che attraversa il poeta. E dunque, quale significato possiamo attribuire alla scelta di Cara- mella dell’uso costante di questo apparente non colore che è la luce? È noto come dal punto di vista simbolico, la luce è considerata – fin dagli albori della società umana – la manifestazione dell’essenza della Divi- nità ed assume un ruolo fondamentale, privilegiato, di comunicazione tra l’Io e il Mondo. La luce è la massima espressione del Bene in quanto la sua propagazione permette ad ogni essere vivente di nascere e crescere, e dun- que di esistere. Luce quindi come mezzo per poter avere vita, ma anche come mezzo per conoscere, comprendere, liberarsi dalle tenebre dell’igno- ranza per raggiungere la ragione, la virtù, la razionalità. La luce è anche simbolo mistico della spiritualità assoluta, elemento che possiede la capacità di rivelare eventi nascosti: del resto, la stessa matrice etimologica sia greca che latina (faòs, lux) ci riconduce al significato di luce come qualcosa che mostra, fa vedere, illumina, rende manifesto. Inoltre, molti studiosi ricollegano il termine greco sofòs (cioè saggio) a safès, che significa propriamente chiaro, visibile: ciò ci riconduce alla filo- sofia e alla capacità del pensatore di vedere non con gli occhi fisici ma con gli occhi della mente. Per J. Itten ‘I colori sono creature della luce e la luce è la madre dei colori. La luce, fenomeno primo dell’universo, ci rivela nei colori lo spirito e l’anima vitale del nostro mondo’. 7 Anche per s. sambursky 8 la luce è il presupposto di tutti i colori; l’o- scurità è la negazione di ogni luce e – di conseguenza – la morte di ogni colore. secondo la simbolica, quindi, due sono i principi che danno origine a tutti i colori: la luce e le tenebre. Come è stato sottolineato da F. Portal 9 , una caratteristica dei simboli è quella di avere la possibilità di includere più di un significato. Esiste ciò che l’autore definisce ‘regola delle opposizioni’, secondo la quale uno stesso segno può essere assunto a sostenere due ruoli di valenza opposta: uno benefico e l’altro malefico, a seconda dell’ambito in cui è inserito. La regola delle opposizioni, essendo comune alla lingua dei simboli, è appli- cabile a tutti i colori in generale, attribuendo loro un significato opposto a quello che essi possiedono direttamente. Il colore, come ogni simbolo, è dunque ambivalente e può sempre essere inteso nel suo duplice significato: positivo e negativo, divino e infer- nale. Compito dell’interprete è quello di comprendere in quale ambito semantico è espresso il colore e quale valenza ravvisare nella tinta nominata. se ci limitiamo all’interpretazione cristiana il bianco simboleggia la forza opposta alle tenebre, a Lucifero, all’oscurità, che è assenza della luce stessa; il bianco rappresenta purezza, innocenza, virtù e fedeltà ed è sicu- ramente il colore più nominato nelle sacre scrittura; ma se ci affidiamo alle interpretazioni antropologiche scopriamo che in Cina e in India – poiché è associato alla vita ultraterrena – simboleggia la morte. Potremmo sbizzarrirci a ricordare Platone quando afferma che è pos- sibile perdonare un bambino che ha paura del buio ma che la vera tragedia è quando un uomo ha paura della luce; oppure il Fiat Lux della Creazione; l’illuminazione di s. Agostino; o Dante che, nella Commedia, giunto nel- l’Empireo, ne è accecato dallo splendore: ‘Come subito lampo che discetti/ li spiriti visivi, si che priva/ da l’atto l’occhio di più forti obbietti,/ così mi circonfuse luce viva,/ e lasciommi fasciato di tal velo/ del suo fulgor, che nulla m’appariva.’ (Par. XXX, vv. 46-51). In ambito pittorico, gli esempi sono infiniti: potremmo ricordare come V. Kandinsky ne Lo Spirituale nell’arte 10 dedichi al colore pagine den- samente poetiche affermando come sia possibile riuscire a comprendere la bellezza del ‘silenzio gravido del bianco’ mentre il ‘tragico silenzio del nero’ sia senza futuro e senza speranza. Interessante la sua teoria secondo la quale ogni colore è abbinato a uno strumento musicale. Ma, se per il giallo sceglie la tromba, per il verde il violino, per il rosso vari strumenti a seconda della tonalità, per il bianco e il nero parla di pausa: una pausa in qualche modo sospesa per il bianco e una pausa definitiva – una fine dunque – per il nero. Bianca, divina, pura, la luce ha comunque un ruolo da protagonista anche per contrasto: il buio, che è la sua netta opposizione, accentua ancor più la sua importanza. La luce, che permette di assaporare la magia e la bel- lezza delle opere, siano esse poetiche che pittoriche, rappresenta l’ele- mento-chiave in quanto assume un valore allegorico. Nelle poesie di Caramella la presenza dell’antitesi del bianco e della luce – il colore nero – è molto discreto e, quando è ricordato, sem- bra passare inosservato oppure, equilibrato attraverso l’uso di un colore chiaro. Un esempio nella poesia che recita “Il sangue scorre nero / il sangue scorre vero / mi bagna come un sasso…” dove l’angoscia presente viene allontanata attraverso la rinuncia a contare, a sentire a vedere; ma che si chiude con un “senza meno senza meno / acuta micidiale / senza nenia senza nenia / verrà la sofferenza / e tutto sarà chiaro”. Anche quando il Poeta ricorre al dolore, all’inquietidine del vivere, alla morte come “un occhio nel quale darsi, lungo pozzo nero?”, non manca la visione della claritas e la consapevolezza di quanto la sofferenza possa essere vista come un necessario passaggio verso il mondo della serenità e della luce. E, in fondo non è – la luce – la summa di tutti i colori? In Aforismi ritmici il Poeta si svela e si rivela dal punto di vista cro- matico in quanto “solo frammenti nel caleidoscopio, / (ma tanti!): di colori contrastanti.” e “se manca l’illusione degli specchi / le nostre azioni (sono) / i prodotti deietti della mente / dispersi senza senso sul cammino.” La poesia si chiude con “Nessuna traccia ai cani del futuro”. Un futuro che Caramella più volte evoca, come tempo che è possibile scrutare e comprendere solo attraverso la luce, sia essa di uno specchio, di un cristallo, di un’alba sul mare o una lama trasparente sul verde sugli olivi. E non è forse, il luogo da lui scelto per la sua Fondazione, chiamato Casa della Luce? senza voler fare dello psicologismo spicciolo, in questa sua ricerca, in questa trasparenza e riflesso della luce, Caramella sembra voler esplorare non solo il se stesso vivente ora, in questo suo tempo della vita terrena, ma anche la visione di ciò che potrà essere e ciò che non sarà mai: quasi un voler percepire l’invisibile attraverso il visibile, un voler scrutare, un rubare alla vita terrena la vita oltre: oltre l’essenza, oltre l’esistenza, oltre la morte stessa. sembra che Caramella voglia indagare non con gli occhi sensibili ma con lo sguardo del pioniere metafisico: uno sguardo quasi fanciullo che solo in apparenza descrive e narra il passato e il presente ma che in realtà cerca – attraverso la trasparenza e lo specchio – una porta di accesso al futuro. In questo senso, il Poeta si rivela estremamente moderno, capace di vivere il tempo dell’oggi, del passato e del domani. senza smielature, senza rimpianti, ma con la consapevolezza che il tempo gli ha concesso di assa- porare la vita in ogni suo aspetto e che ogni giorno è importante al fine di costruire la sua essenza di uomo e di poeta, di padre e figlio, di marito e uomo. Un futuro che – razionalmente – non può che portare verso la neces- saria e inderogabile fine della vita, ma che emotivamente conduce verso l’i- nizio di qualcosa di grandioso e – soprattutto – di pulito. Del resto, non è Pulizia il titolo di una delle sue opere ? Pulizia da cosa? Dalle cosiddette «scorie del male»? Dall’inchiostro che impiastriccia i fogli della letteratura? Dalle inquie- tudini della vita? o piuttosto da tutte quelle parole inutili che impediscono alla Poesia di diventare pura, lavata, ripulita da ogni inutile orpello? Attraverso la quale è possibile tentare di andare oltre e lasciarsi scaraventare in un mondo dove la conoscenza e la coscienza sono finalmente chiare? si può ipotizzare che la ricerca della luce, del bianco, della chiarezza, dello specchio cristallino voglia indicare che il poeta è una personaggio che si trova sempre sul filo della realtà e dell’immaginazione, con un piede sulla soglia del quotidiano e l’altro del sogno: Poeta come personaggio in qual- che modo speciale, perché dotato di quella capacità di trasferirsi da un piano all’altro, da un mondo all’altro, come avviene nel gioco infantile e nelle fiabe. E anche nelle fiabe il bianco indica la luce del giorno, la salvezza del- l’eroe o l’intervento di una forza benefica; il nero e il rosso indicano ciò che si oppone al conseguimento del bene: non a caso Biancaneve è bianca, la mela avvelenata è rossa e preparata da una strega nera. Le stesse creature speciali delle fiabe di ogni tempo e della mitologia – come ad esempio l’Unicorno, Pegaso, i Cigni, il Drago-Cane de La sto- ria infinita, i Conigli… – sono di colore bianco: personaggi che attraver- sano il confine tra il reale e l’immaginario, tra razionalità e creatività. Una sorta di gioco affascinante della ricerca del senso/nonsenso, del dire/non dire del vivere e contemporaneamente del morire. Il tutto espresso senza lamentazioni, senza grida o urla, ma in maniera ironica, razionale e ipotetica insieme, certa e certificata e nello stesso tempo contoversa. Consapevolezza dunque del sé, delle regole della vita e della morte, del perire e del ri-nascere, dell’esistenza del bene oltre ogni limite tempo- rale e geografico. Luce come sintesi estrema di tutti i colori, e dunque di ogni sfaccet- tatura dell’essere e dell’esistere. Mi piace concludere con la primissima impressione che ho ricevuto nel leggere Mille scuse per esistere; al termine della lettura ho pensato al grande psicologo statunitense di origine tedesca Erik H. Erikson 11 il quale, nel tracciare le varie tappe della costruzione della personalità dell’uomo, individua, nell’età matura, due contrapposti traguardi: l’uno, collegato ad una distorta e non compiuta crescita sul piano umano, è definito Dispe- razione; il secondo, frutto di una armoniosa crescita, è invece definito Integrità dell’Io. se l’uomo ha avuto coscienza e accettazione del suo essere al mondo, del proprio ruolo all’interno della società, ed è stato capace di comprendere il senso della vita e della morte, avrà raggiunto quella serenità necessaria ad accettare la fine della propria esistenza; in caso contrario la morte lo coglierà pieno di rimpianto, di rancore, di dolore, di odio, fino al terrore. Ecco. Nell’opera di Caramella – ma in tutta la sua produzione poetica – appare evidente e senza ombra di dubbio come il poeta e l’uomo abbiano raggiunto quel meraviglioso traguardo – l’integrità dell’Io, appunto – che permette di essere consapevoli di ciò che siamo, di ciò che siamo stati e ciò che non ci è dato sapere di diventare ma che possiamo sperare, immaginare e ipotizzare.