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Sabino Caronia

Foto di gruppo con mistero tra letteratura e memoria
 
Per analizzare il rapporto tra letteratura e memoria nell’opera di Alberto Caramella converrà partire da uno scritto intitolato Foto di gruppo con mistero che è contenuto nel volume Festa di vivere i mostri del moto (2001).
Nella sua introduzione a quel volume Maurizio Cucchi, parlando della memoria, sottolinea come Caramella vi attinga ‘con discrezione e una sola accennata patina di nostalgia’ e questo non certo per una ‘rievocazione fine a se stessa’ ma piuttosto per un’esigenza di ‘ricostruzione di sé, del sé’, che esprime un ‘bisogno di conferma di esserci’ spesso manifestantesi attraverso l’uso di alter ego dell’autore, come appunto il Vanni di Foto di gruppo con mistero, cioè il critico cinematografico Giovanni Grazzini che, particolare significativo, apprendiamo nel corso dello scritto essere morto proprio nell’agosto dell’anno della stesura dello stesso. Leggiamo: “si tratta di compiere un’analisi paziente. Ma a chi può interessare di seguirla? Mi ha scritto Vanni (il primo da sinistra nella foto, dopo due ragazze che sembrano sorelle, lui in posa eminente come se fosse seduto sopra un sasso: sulle ginocchia è più improbabile: le braccia, il busto sono troppo rilassati) che oggi ha circa ottant’anni: «Ho riconosciuto Giancarlo, si vede bene» (infatti è in piedi all’estrema destra della foto di gruppo, e si riconosce bene) «ma non sono riuscito a identificarti, non so se c’eri». Ma chi è Vanni, chi è Giancarlo, e chi sono io, destinatario del dubbio di esistenza nella foto?”. «Chi sono io?» si chiede Caramella. Di fronte a quell’interrogativo vien fatto di pensare a quanto rispondeva Giuseppe Tomasi di Lampedusa a coloro che gli chiedevano notizie del suo passato: ‘La vita si vive a fasi’. sulla stessa linea di Foto di gruppo con mistero, relativamente al rap- porto tra letteratura e memoria, si pone un altro scritto contenuto nel volume Festa di vivere i Mostri del moto intitolato Il fischietto vero dove, non a caso, è riportato un componimento di Mille scuse per esistere “Ti ricordi a Maresca la mattina / in pineta la nostra colazione// con tanti riccioli di burro nuovo / sotto le chiazze di sole nel fresco // la meraviglia di quel giorno nato / tra i verdi prati, cinquant’anni fa?” e dove, non a caso, ancora una volta si fa riferimento all’infanzia attraverso una foto: “La vecchia fotografia mostra”. Letteratura e memoria. Pensiamo in proposito in primo luogo al rapporto tra letteratura e vita in una linea che va da Memorie del sottosuolo di Dostoevskij ‘Lasciateci soli, senza libri, e ci confonderemo subito, ci perderemo, non sapremo dove accostarci, a cosa aggrapparci; cosa amare e cosa odiare, cosa rispettare e cosa disprezzare’ a La tana di Kafka ‘Da essi (i nemici interni) non può sal- varmi neanche quella via; anzi probabilmente non mi salva in nessun caso, ed è invece la mia rovina: però è una speranza e senza di essa non posso vivere’. Pensiamo inoltre al motivo della foto, o ancora prima del ritratto, in una linea che va da Ritratto di signora di James fino a Foto di gruppo con signora di Böll e a quel bel racconto di Franco Lucentini intitolato Notizie dagli scavi, dove la concezione del tempo e della memoria sembra presen- tare molte analogie con quella di Alberto Caramella. Quel racconto di Lucentini, da cui è stato tratto l’omonimo film di Emidio Greco, così si conclude: ‘Gli facevo questo sorriso in questo vetro, che dietro si vedeva la strada con quelli che passavano e poi più indietro dall’altra parte della strada, nello scuro del parcoTiburtino, s’incomincia- vano pure a vedere questi articoli dietro la rete della serranda abbassata, che parevano pure qui tutte tazze, bicchieri, altri pezzi che non si capiva, e in mezzo questi che pareva che eravamo noi che stavamo a guardare, ma che poi chi lo sa chi eravamo, e tutto quanto che era’ 3 . In proposito vien fatto di richiamare quanto ha osservato giusta- mente Emerico Giachery in un suo scritto particolarmente felice dedicato ai Viaggi del Nautilus e ora raccolto nel volume Pas de deux. Per la poesia di Alberto Caramella: ‘Il rapporto del poeta col tempo, con la temporalità, è uno degli spunti più stimolanti e sfumati, forse destinato ad essere studiato e approfondito da qualche critico-lettore. «Fossa comune». Il tempo tutto foscolianamente «traveste» e tutto alla fine confonde e nullifica. «Tutt’era eguale e tutto era mutato». In stratificate città storiche, come spello, il sin- cretismo dissolvente della storia può toccarsi con mano: così fitto “il segno dei tempi sovrapposti” che “l’un sull’altro distruggono attenti / e vuol ciascuno il proprio segno eterno”. Ma poi: “Nemmeno in un tempo infi- nito, / distingueresti le tracce sovrapposte. / L’orma non nata è già finita”. Ne resta il segno nella scrittura poetica: «Giacciono in queste righe tempi sovrapposti»’ 4 . Ricordo la telefonata di Alberto Caramella ricevuta proprio in casa di Giachery in occasione dell’uscita della mia recensione a Il libro liberato su L’Osservatore Romano del 30 ottobre 2005, quella telefonata in cui, per invitarmi ad andarlo a trovare assieme con loro dal 2 al 4 novembre alla Casa della Luce, mi aveva parlato di Cireglio, del sasso, di quei luoghi a me cari e familiari perché legati al ricordo delle mie vacanze con i genitori al tempo dell’infanzia, richiamando quel suo racconto Foto di gruppo con mistero, in cui è rievocato un momento della propria infanzia vissuto in quei luoghi. Nostalgia, memoria affettiva, potremmo dire «anamnesi». Non a caso è detta «anamnesi» (o «memoriale») quella parte del canone della messa che, immediatamente dopo la consacrazione, ricorda la Passione, Resurrezione e Ascensione di Gesù e che inizia con le parole: Unde et memores, perciò noi ricordiamo. E non a caso il termine greco martys, testimone, è fatto derivare dal sanscrito smarati, che significa ricordarsi. NelpassodelVangelodiLucarelativoall’ultimacenaeall’istituzionedel- l’Eucarestia troviamo le parole: ‘Fate questo in memoria di me’ (Lc. 22, 19). A quelle parole significative seguono nella messa le altre riprese dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi (I Cor. 11,26) e attribuite dalla tradi- zione a sanTommaso: ‘ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo di questo vino annunciamo la tua morte, signore, proclamiamo la tua resurrezione, in attesa della tua venuta’. L’Eucarestia è un «memoriale» (zikkaron in ebraico, anamnesis in greco), ed è un «memoriale» dell’amore di Dio. L’amore non vive di passato ma dà corpo e consistenza al presente. sappiamo che l’imperativo del ricordare caratterizza la tradizione ebraica. Il verbo zaker (far memoria) ricorre nella Bibbia ben duecentoventidue volte e ha quasi sempre per soggetto Israele o Dio (Is. 49, 15-19). Non è uno, ma il più profondo attributo di Jehova, quello di ricordare, di avere una memoria infallibile ‘fino alla terza o alla quarta genera- zione’, anzi fino alla «centesima», ma la memoria incombe anche sull’uomo ed è un dovere e non un semplice invito a rifugiarsi nel passato, dal momento che il passato costituisce un valido aiuto per affrontare la vita e il nostro compito è di trasformare il ricordo in memoria viva da trasmettere alle generazioni future. Il 3 ottobre 2013 Papa Francesco, in una sua meditazione intitolata La gioia della memoria cristiana, ha osservato che quando il cristiano trasforma la memoria della storia della salvezza operata da Gesù in semplice ricordo ‘perde di vista il valore di uno dei principi fondamentali della fede cristiana: la memoria che si fa gioia’ aggiungendo che ‘quando la memoria si avvicina fa due cose: riscalda il cuore e ci dà gioia’ per concludere che l’in- contro con la memoria ‘è un evento di salvezza, un incontro con l’amore di Dio che ha fatto la storia con noi e ci ha salvati’.
In una nota a Il procuratore di Giudea di Anatole France Leonardo Sciascia, che, non senza significato, nel 1980 lo ha voluto pubblicare nella collana La memoria della casa editrice sellerio, contrappone la memoria di Elio Lamia alla non memoria di Pilato: ‘«Ho conosciuto un’ebrea di Gerusalemme che in una bettola, nell’avara luce di una lucerna fumosa, su un logoro tappeto, danzava levando le braccia e agitandole a far suonare i cim- bali. Le reni inarcate, la testa rovesciata e come tirata dal peso della sua folta chioma rossa, gli occhi annegati di voluttà, ardente e languente, flessuosa, avrebbe fatto impallidire d’invidia Cleopatra stessa… La seguivo dovun- que… Un giorno disparve e non la rividi più… Qualche mese dopo che l’avevo perduta, seppi, per caso, che si era unita a un piccolo gruppo di uomini e di donne che seguivano un giovane taumaturgo della Galilea. si faceva chiamare Gesù il Nazareno, e fu crocefisso non ricordo per quale delitto. Ponzio, ti ricordi di quest’uomo?» Ponzio Pilato aggrottò le soprac- ciglia, si portò la mano alla fronte come chi vuole ritrovare un ricordo poi, dopo qualche istante di silenzio: «Gesù?» mormorò «Gesù il Nazareno? No, non ricordo»’. Elio Lamia ricorda contro Ponzio Pilato che non ricorda, ricorda per amore, seppure carnale e sensuale amore per una donna, osserva sciascia che conclude: ‘Tutto che è amore conduce al Cristo, al cristiane- simo: e come Maria Maddalena ha seguito Cristo, così, seguendo l’amoroso ricordo di lei, Elio Lamia arriva a ricordare Cristo’. Anche nell’Orfeo in paradiso di Luigi santucci il protagonista, nel suo viaggio all’indietro che gli consente di rivivere la vita della madre a partire dalla nascita di lei, attraverso quel suo recupero nel ricordo di un passato dove tutto è accaduto ed è chiuso ormai nella sua sorte già compiuta e inal- terabile come in una peschiera, deve fare i conti con l’amore: ‘Quegli uomini 1898, in moto entro i loro destini scontati, diventavano dei tran- quilli oggetti di analisi; per loro tutto era fatto, e si poteva osservarli senza tremare e sperare per loro. solo Eva faceva eccezione; Eva, nella peschiera, era il pesce di cui gli interessava la voce’. È chiaro dunque: ricorda chi ama, e questo è vero anche per Alberto Caramella. A proposito del rapporto tra memoria affettiva e testimonianza let- teraria di essa non a caso nel Libro liberato è sottolineata la funzione e il senso della scrittura: “Hai chiesto il permesso / di vivere? /Te l’hanno dato? / Perché di scrivere lo chiedi ancora?”. significativo in particolare è il legame tra l’innestare l’albero e il libro, che spiega anche il senso di quei componimenti che sono dedicati dal poeta ai suoi nipoti: “Come sarebbe bello / di poter innestare le persone / come gli alberi. Ma il taglio duole / e non s’innesta niente. È tanto bello / lasciarti qualche riga o foglio caro. / Forse ci sono, forse sono stato”.
A conferma di quanto abbiamo finora sostenuto si veda almeno quanto osserva Carmelo Mezzasalma analizzando, nella sua postfazione a I viaggi del Nautilus, quel componimento che è intitolato significativamente Scrivere: ‘C’è una poesia che collega questa nuova raccolta a quella precedente Mille scuse per esistere ed è una poesia che ha al centro una vocazione all’infanzia mai dimenticata e mai rinnegata dal nostro poeta […] Come diceva Bernanos, in effetti, una volta usciti dall’infanzia, occorre soffrire molto a lungo per rientrarvi, così come proprio in fondo alla notte si ritrova un’altra aurora […] La poesia si intitola, significativamente, Scrivere, e vale la pena di citarla per intero poiché rappresenta una chiave precisa del- l’esperienza poetica di Alberto Caramella: “Come quando passavo le ore da solo / sui tappeti cinesi /con quattro palline / e due gusci di noce: / giocando da solo / pauroso; / e disteso da solo pauroso / giocavo per ore”. I talismani della memoria (quattro palline e due gusci di noce) si saldano alla solitudine dell’infanzia (giocando da solo) e creando uno spazio dell’anima che apre e chiude la poesia (le ore… per ore)’. Exegi monumentum aere perennius: ancora una volta nel Libro liberato ritorna l’imperativo oraziano, il riferimento costante di Caramella al monumento, alla fiduciosa speranza che sfida il tempo anche se qui insidiata dalla paura del vuoto: “Coesi da propositi incostanti / poggiati su ragioni inesi- stenti / traditi da supporti inefficienti // i pilastri decadranno. Ed io dove / mi appoggerò?”, “Questa trama imperfetta così poco trattiene / che non fa differenza un filo inetto. / Muore e muore / interamente il mondo”. Giustamente Emerico Giachery ha sottolineato nella poesia di Cara- mella il fondamentale motivo dell’architettura, che non è soltanto convinzione estetica e principio di poetica ma investe la vita stessa del poeta, richiamando la definizione che della casa dà Gaston Bachelard in La poe- tica dello spazio: ‘La casa, nella vita dell’uomo, rimuove contingenze, mol- tiplica i suoi consigli di continuità. senza di essa, l’uomo sarebbe un essere disperso. Essa preserva l’uomo attraverso le tempeste della vita. È corpo e anima. È il primo mondo dell’essere umano’ 6 . In questo senso non si può non accennare brevemente a quello che è stato scritto sulla Casa della Luce, paragonata da Giovanna Giubelli alla casa di cristallo di Merlino, che risulta essere come una nave posta in quel paesaggio che al Montale dei Tempi di Bellosguardo ricordava il mare, secondo quanto giustamente osserva Cesare Cavalleri nella sua postfazione a Lunares murales e che a me ha richiamato fin dal primo momento la Nave di cristallo della canzone di Jim Morrison e, con essa, quella della Fondazione Pinault per l’Arte Contemporanea che avrebbe dovuto sorgere sull’Ile seguin a Parigi.
Certo la Casa della Luce non può non far pensare, per le sue prospettive e le sue geometrie, alla «città ideale» raffigurata nel celebre dipinto attribuito a Piero della Francesca o a Leon Battista Alberti e a Henry James che ha dimorato nelle vicine ville Merce- des e Brichieri-Colombi traendone spunto per i suoi capolavori, da Rode- rick Hudson a Ritratto di Signora e al Manoscritto di Aspern nonché al suo rapporto con la villa san Michele fatta edificare dall’amico Axel Munthe ad Anacapri che tanto ricorda la Casa della Luce in quanto dimora di luce rispondente all’esigenza dello spirito di avere più spazio del corpo. Mi vien fatto di citare la descrizione che Paul Morand fa dell’individuo Pesci, del suo gusto di starsene rinchiuso nel suo guscio in contrasto con la sua passione dello spazio, della felicità di vivere in una misura stretta contrapposta all’ebbrezza del deserto, del mare, della steppa, ricordando che, come D’Annunzio, Caramella era nato anche lui sotto quel segno zodiacale, come ricordato anche in un componimento di Lunares murales che è intitolato Costellazione dei Pesci (2-3-1928): “sei muto nel profondo delle colline / pesce del mare fossile pietrificato / duplicato nella costellazione del cielo / implicato chiuso nell’onda dei tempi / caduto, iso- lato laggiù / dove l’ulivo è nato / sulla vita infinita / calcinata / stratificato marmo / delle correnti perdute. / Nessuno sotto i verdi poggi vedrebbe / il moto del mare cresciuto dal fondo / al sole leggero. / Nessuno sceglierebbe d’essere muto / sconfitto fossile pesce / levigata trama di radiografia. / (Ma c’è chi. orgoglioso Amico)” 8 . A suo tempo mi è accaduto di sottolineare in Il libro liberato quel motivo delle ombre cinesi che ritorna così significativamente nella sezione Ardori, quell’immagine della vita come un film da montare o una serie d’immagini televisive: “ombre s’attorcono / nel chiuso velenoso dei ricordi. / se fosse un film la nostra vita ancora / da montare. Rubare la moviola. / Ritentare”, “Dal televisore / – non era un sogno – / scorreva una vicenda d’ombre” . La risposta a questi interrogativi è forse nei versi noti di Mario Luzi in Passata Siena, passato il ponte d’Arbia in Frasi e incisi di un canto salutare: ‘Grazie matria, […] / per questo nostro errare nel tuo grembo […] / non negarmi mai il mio ritorno, / da dove che sia aprigli il tuo regno, / fosse pure il trascorrere di un’ombra / dal nulla al nulla, fluisca sopra il tuo schermo…’. Del resto si dice proprio alla conclusione di un componimento de Il libro liberato: “Così salendo a te / trepido attendo / il successivo istante”?